Secondo il diritto feudale, il feudo ottenuto in beneficio doveva essere trasmesso alla morte del signore al suo primogenito maschio. I figli minori, i cadetti, dovevano quindi adattarsi a vivere sotto la tutela del fratello maggiore, oppure abbracciare la carriera ecclesiastica o, in alternativa quella militare. Nel primo caso essi ottenevano spesso dei benefici collegati al monastero nel quale entravano, oppure potevano ambire al possesso di feudi ecclesiastici vacanti. Se decidevano di seguire la carriera militare, prendevano servizio presso un signore e dopo un duro tirocinio in qualità da scudieri, gli era possibile ambire al titolo di cavalieri. La Chiesa, allo scopo di limitare lo spirito guerresco dei signori, tentava di dirigere l’operato degli aspiranti cavalieri, verso fini nobili e più degni di tale titolo: giustizia, probità, lealtà, cortesia e soprattutto la difesa dei più deboli. In questo modo l’investitura cavalleresca veniva ad assumere il carattere di una consacrazione religiosa, per mezzo della quale il cavaliere entrava a far parte di una confraternita, la Cavalleria, nella quale vigeva un codice comprendente regole estremamente severe ed esclusive. Molto spesso la Cavalleria costituì per molti un valido aiuto contro le prepotenze dei feudatari e la Chiesa stessa vi fece assegnamento per la lotta contro barbari e infedeli. In realtà molti cavalieri vennero meno alle regole, mostrandosi avidi di ricchezze e sanguinari, quindi molto diversi dai cavalieri erranti spesso citati come esempi di rettitudine nelle poesie medioevali.