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 L'eclettismo

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L'eclettismo Empty
MessaggioTitolo: L'eclettismo   L'eclettismo Icon_minitimeMar Ago 17, 2010 10:38 am

Caratteri dell'eclettismo


Le tre grandi scuole filosofiche postaristoteliche, stoicismo, epicureismo e scetticismo, pur nella discordanza dei loro presupposti teoretici, mostrano un fondamentale accordo nelle loro conclusioni pratiche. Tutt'e tre ritengono che il fine dell'uomo è la felicità e che la felicità consiste nell'assenza di turbamento e nell'eliminazione delle passioni, tutt'e tre pongono l'ideale del saggio nell'indifferenza rispetto ai motivi propriamente umani della vita. Questa concordanza sul terreno pratico doveva necessariamente smussare l'antagonismo delle rispettive posizioni teoretiche e consigliare ovviamente di trovare un terreno d'incontro sul quale i tre indirizzi potessero conciliarsi e fondersi. L'eclettismo (da ek-légo, scegliere) rappresenta appunto questa tendenza.


Le condizioni storiche favorirono l'eclettismo. Dopo la conquista della Macedonia da parte dei Romani (168 a. C.) la Grecia era di fatto diventata una provincia dell'Impero romano. Roma cominciò ad accogliere e a coltivare la filosofia greca, che divenne un elemento indispensabile della cultura romana: e dal suo canto, la filosofia greca venne gradualmente adattandosi alla mentalità romana. Ma questa era poco adatta a dar rilievo a divergenze teoretiche dalle quali non scaturisse una differenza nella condotta pratica; sicché il tentativo di scegliere nelle dottrine delle varie scuole gli elementi che si prestassero ad essere conciliati e fusi in un corpo unico trovò il più valido appoggio nella mentalità romana. Ma poiché la scelta di questi elementi supponeva un criterio, si giunse ad assumere come criterio l'accordo comune degli uomini (consensus gentium) su certe verità fondamentali, ammesse come sussistenti nell'uomo indipendentemente e prima di ogni ricerca.

L'indirizzo eclettico comparve per la prima volta nella scuola stoica, dominò a lungo nell'Accademia e fu accolto anche dalla scuola peripatetica. Solo gli Epicurei si mantennero estranei all'eclettismo, rimanendo fedeli alla dottrina del maestro.



Lo stoicismo eclettico


L'avviamento della scuola stoica verso l'eclettismo, iniziatosi con BET0 di Sidone (morto nel 119 a. C.), divenne decisive) con PANEZIO di Rodi, vissuto tra il 185 e il 109 a. C. Egli visse a Roma per qualche tempo insieme con lo storico Polibio, fu amico di molti nobili romani, tra i quali Scipione Africano e Lelio, maestro di molti altri ed ebbe certo grande influenza sullo sviluppo dell'interesse filosofico in Roma. Dei suoi scritti ci rimangono i titoli; uno di essi Sul dovere, fu il modello del De officiis di Cicerone. Panezio fu un grande ammiratore di Aristotele e s'ispirò in più punti alla dottrina di lui. Affermò infatti con Aristotele e contro la dottrina classica dello stoicismo, l'eternità del mondo; distinse nell'anima le tre parti, vegetativa, sensitiva e razionale, anche qui seguendo Aristotele e separando nettamente la parte razionale dalle altre.

Il più famoso scolaro di Panezio fu POSIDONIO di Apamea in Siria, nato verso il 135 a. C. e morto a 84 anni, capo della scuola che aveva fondate) in Rodi, scuola nella quale aveva avuto come uditori Cicerone e Pompeo. Delle 23 opere che gli sono attribuite abbiamo solo frammenti. Posidonio assunse nella sua dottrina molti elementi platonici: l'immortalità dell'anima razionale e la sua preesistenza; l'attribuzione delle emozioni, che per lo stoicismo avevano importanza soltanto negativa come malattie dell'anima, all'anima appetitiva, intesa come una potenza inerente all'organismo corporeo.



Il platonismo eclettico


L'indirizzo scettico che era prevalso nell'Accademia con Carneade ed i suoi immediati successori viene modificato nel senso dell'eclettismo da FILONE di Larissa, che fu a Roma durante la guerra mitridatica (88 a. C.) ed ebbe qui tra i suoi uditori Cicerone. Filone abbandona già il principio della sospensione dell'assenso, che è fondamentale per gli Scettici. L'uomo non può raggiungere la certezza incondizionata della scienza; ma può conseguire la chiarezza (enàrgheia), l'evidenza di una convinzione soddisfacente: può quindi formulare una teoria etica compiuta, combattendo le false dottrine morali e insegnando le giuste.
Ma la stessa incondizionata certezza che Filone escludeva fu ammessa dal suo successore, ANTIOCO di Ascalona, col quale l'Accademia abbandona definitivamente lo scetticismo per rivolgersi all'eclettismo. Antioco (morto nel 68 a. C.) fu anch'egli maestro di Cicerone che lo ascoltò nell'inverno 79-78 e fu in polemica letteraria con Filone. Senza una certezza assoluta non è possibile, secondo Antioco, neppure stabilire gradi di probabilità, giacché la probabilità si può giudicare soltanto sul fondamento della verità e non si può ammettere quella se non si è in possesso di questa. Come criterio della verità egli poneva l'accordo fra tutti i veri filosofi e questo accordo egli cercò di mostrare tra le dottrine accademiche, peripatetiche e stoiche, riuscendovi solo a costo di gravi deformazioni.


MARCO TULLIO CICERONE


All'eclettismo di Antioco si ricollega quello di MARCO TULLIO CICERONE (106-43 a. C.) che deve la sua importanza, non all'originalità del pensiero, ma alla sua capacità di esporre in forma chiara e brillante le dottrine di filosofi greci contemporanei o precedenti. Cicerone stesso riconobbe la sua dipendenza dalle fonti greche dicendo delle sue opere filosofiche in una lettera Ad Attico (XII, 52, 3): «mi costano poca fatica, perché di mio ci metto solo le parole, che non mi mancano». Dei principali scritti filosofici di Cicerone, il De republica e il De legibus hanno come loro fonti Panezio ed Antioco; l'Ortensio, andato perduto, si ispirava al Protrettico di Aristotele; gli Accademia ad Antioco; il De finibus allo stesso Antioco e per l'epicureismo a Zenone e a Filodemo. Le Tusculane dipendono da scritti dell'accademico Crantore, di Panezio, di Antioco, dello stoico Crisippo, di Posidonio. Il De natura deorum da varie fonti stoiche ed epicuree. Il De officiis da Panezio; gli altri scritti minori da fonti analoghe. Come Antioco, Cicerone ammette quale criterio della verità il consenso comune dei filosofi e spiega tale consenso con la presenza in tutti gli uomini di nozioni innate, simili alle anticipazioni dello stoicismo. Nella fisica, egli rigetta la concezione meccanica degli Epicurei; che il mondo possa essersi formato in virtù di forze cieche gli sembra altrettanto impossibile quanto lo è ottenere, per esempio, gli Annali di Ennio buttando a terra a casaccio un gran numero di lettere alfabetiche. Ma quanto a risolvere in modo positivo i problemi della fisica, Cicerone lo ritiene impossibile e così egli si ferma su questo punto ad un atteggiamento scettico. Nell'etica, afferma il valore della virtù per se stessa, ma oscilla tra la dottrina stoica e l'accademico-peripatetica. Egli afferma l'esistenza di Dio e la libertà ed immortalità dell'anima, ma evita di affrontare i problemi metafisici che sono inerenti a tali affermazioni.

Affine alla posizione di Cicerone è quella del grande erudito suo amico, MARCO TERENZIO VARRONE I 16-27 a. C.). Varrone si mantenne fedele all'etica di Antioco. Da Panezio accettava invece la distinzione della teologia in mitica, fisica e politica.
La teologia mitica è costituita dalle rappresentazioni che i poeti danno della divinità. La teologia fisica è quella propria delle teorie dei filosofi intorno al mondo e a Dio. La teologia politica è quella che trova espressione nelle disposizioni legislative che riguardano il culto. Per suo conto Varrone accettava il concetto stoico della divinità come anima del mondo.


L'aristotelismo eclettico


L'indirizzo eclettico non si è mai radicato profondamente nella scuola peripatetica. ANDRONICO di Rodi che dal 70 a. C. in poi per 10 o 11 anni fu a capo della scuola peripatetica di Atene, è famoso soprattutto per aver curato l'edizione degli scritti acroamatici di Aristotele e per aver iniziato quei commenti alle opere del maestro ai quali si dedicarono in séguito tutti i peripatetici. Il suo principale interesse appare rivolto alla logica.

Tra gli eclettici peripatetici sono da annoverare il grande astronomo CLAUDIO TOLOMEO, sul quale hanno agito motivi della speculazione platonica e stoica e la dottrina pitagorica intorno ai numeri; e il medico GALENO (129-99 d. C.), che è stato la più grande autorità della medicina fino all'età moderna. Accanto alle quattro cause aristoteliche, materia, forma, causa efficiente e causa finale, Galeno ne ammise una quinta, la causa strumentale, cioè lo strumento o il mezzo mediante il quale le altre quattro operano e che Aristotele aveva considerato identico alla causa efficiente. Galeno fu anche probabilmente il primo a introdurre nella logica aristotelica la trattazione dei sillogismi ipotetici, modellati sugli anapodittici degli Stoici: le affermazioni di Alessandro di Afrodisia che attribuiscono ai primi aristotelici (Teofrasto e Eudemo) questa innovazione non trovano conferma. Per sillogismo ipotetico egli intese il sillogismo che ha come premessa una proposizione condizionale o disgiuntiva, come negli schemi seguenti: «Se S è, è P; ma S è; dunque è P»; «S è o P o Q; ma non è Q; dunque è P». Nella sua Introduzione alla dialettica Galeno affermava che mentre il sillogismo categorico (cioè aristotelico) si richiede nei ragionamenti dei matematici, quello ipotetico si richiede per discutere problemi come questi: «C'è il fato?», «Ci sono gli dei?», «C'è la provvidenza?»: che sono problemi della fisica stoica. Da allora in poi la trattazione del sillogismo ipotetico entrò a far parte del corpo della logica aristotelica e si trasmise, come tale, attraverso Boezio, alla logica medievale.

L'ultimo peripatetico di qualche importanza fu ALESSANDRO di Afrodisia (insegnò in Atene tra il 198 e il 211), il famoso commentatore di Aristotele, l'esegeta per eccellenza. Il suo commento ci è giunto solo in parte. Alessandro si proponeva in esso di chiarire e difendere la dottrina di Aristotele contro Ie affermazioni opposte delle altre scuole e specialmente degli Stoici. Il punto del suo commento che doveva avere nel Medio Evo e nel Rinascimento maggiore importanza è quello che riguarda il problema dell'intelletto attivo. Alessandro distingue tre intelletti: 1° l'intelletto fisico o materiale, che è l'intelletto potenziale; esso è simile all'uomo che è capace di apprendere un'arte ma non è ancora in possesso di essa; 2° l'intelletto acquisito, che è la capacità di pensare, simile all'artista che è giunto a possedere la sua arte; 3° l'intelletto attivo, che opera il passaggio dal primo al secondo intelletto. Questo non appartiene all'anima umana, ma agisce su di essa dal di fuori. Esso è la stessa causa prima, cioè Dio.

Questa dottrina doveva offrire lo spunto alle numerose interpretazioni dell'intelletto attivo che si successero nella scolastica araba e latina e nel Rinascimento.


La scuola cinica

Nella prima metà del III secolo a. C. BIONE da Boristene iniziò quel genere letterari() che fu poi la particolarità della scuola cinica, le diatribe. Le diatribe erano prediche morali contro le opinioni e i costumi dominanti; prediche arricchite da molteplici artifici retorici che avrebbero dovuto aumentarne l'efficacia.

MENIPP0 di Gadara verso la metà del III secolo a. C., nelle sue satire scritte in prosa ma intercalate di versi, rappresentò scene burlesche nelle quali prese di mira Epicurei e Scettici. Sul suo esempio Varrone scrisse le Satire menippee. Verso la metà del III secolo la scuola cinica perdette la sua autonomia e finì per fondersi con quella stoica. Al principio dell'era volgare essa rinasce dallo stesso stoicismo; e rinasce con lo stesso carattere di una predicazione petulante e sarcastica che il più delle volte non ha nessuna base filosofica e nessuna giustificazione morale. Si diffondono in questo periodo 51 Lettere attribuite a Diogene e a Cratete. Seneca loda molto il suo contemporaneo DEMETRIO, il quale pare sia stato il rinnovatore del cinismo.
DIONE detto CRISOSTOMO, vissuto al tempo dell'imperatore Traiano, appare come un propagandista popolare delle dottrine tradizionali dei Cinici.
La scuola cinica ridottasi a pura predicazione morale senza fondamento filosofico non subì l'influenza degli sviluppi successivi della speculazione e sopravvisse fino al V secolo d. C.



Seneca

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Musonio


MUSONIO RUFO di Volsinio in Etruria fu bandito da Nerone nel 65 d. C. Ritornò in seguito a Roma e fu in rapporti personali con l'imperatore Tito. Dei suoi discorsi ci ha conservato numerosi frammenti il Florilegio di Stobeo. Musonio accentua ancora più di Seneca il carattere pratico e moralizzatore della filosofia. Il filosofo è l'educatore e il medico degli uomini; deve guarirli dalle passioni che sono le loro malattie. Per questo scopo, non ha bisogno di molta scienza, ma solo di molta virtù. Musonio inclina, per questa svalutazione dell'attività teoretica, verso il cinismo e ciò gli toglie ogni importanza speculativa.
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