A questa conclusione si giunge esplicitamente nel Sofista. Contro gli «amici delle idee», cioè contro l'interpretazione oggettivistica della teoria delle idee, si afferma risolutamente l'impossibilità che «l'essere perfetto sia privo di movimento, di vita, di anima, d'intelligenza, e che non viva né pensi». Bisogna ammettere che l'essere comprenda in sé l'intelligenza (o il soggetto) che lo conosce; questa, come si è visto dal Parmenide, non può cadere fuori dell'essere, altrimenti l'essere rimarrebbe sconosciuto. Ma l'inclusione dell'intelligenza nell'essere modifica radicalmente la natura dell'essere. Esso non è immobile, perché l'intelligenza è vita e quindi movimento: il movimento è quindi una determinazione fondamentale, una forma (eidos) dell'essere. Ciò non vuol dire che l'essere si muova in ogni senso, come sostengono gli Eraclitei; bisogna ammettere che l'essere è, nello stesso tempo, movimento e quiete. Ma in quanto li comprende entrambi non è né l'una cosa né l'altra, per quanto possa essere entrambe: quindi essere, movimento, quiete sono tre determinazioni diverse, e tuttavia connesse, dell'essere. L'essere è comune al movimento e alla quiete; ma né il movimento né la quiete sono tutto l'essere. Ognuna di queste determinazioni o forme è identica con se stessa, e diversa dall'altra: l'identico e il diverso saranno dunque altre due determinazioni dell'essere, che così si elevano a cinque: essere, quiete, movimento, identità, diversità. Ma la diversità di ognuna di queste forme dall'altra significa che ognuna di esse non è l'altra (il movimento non è la quiete, ecc); sicché la diversità è un non-essere e il non-essere in qualche modo è, perché, come diversità, è una delle forme fondamentali dell'essere. In tal modo il forestiero eleate, lo scolaro di Parmenide che è il protagonista del Sofista, ha compiuto il necessario «parricidio» verso Parmenide: utilizzando la ricerca eleatica, Platone ha proceduto al di là di essa, unendo all'essere parmenideo la soggettività socratica e perciò facendo vivere e muovere l'essere. Questa determinazione delle cinque forme (o generi) dell'essere fonda (o si fonda su) una nuova concezione dell'essere: nuova perché diversa da quelle che Platone trovava già accettate nella filosofia a lui contemporanea. In primo luogo, essa esclude che l'essere si riduca all'esistenza corporea come sostengono i materialisti: giacché si dice che «sono» non solo le cose corporee ma anche quelle incorporee, per esempio la virtù (247 d). In secondo luogo, essa esclude che l'essere si riduca alle forme ideali, come sostengono «gli amici delle forme», perché in tal caso si escluderebbe dall'essere la conoscenza dell'essere e quindi l'intelligenza e la vita (248 e-249 a). In terzo luogo, essa esclude che l'essere sia necessariamente immobile (cioè che «tutto sia immobile») o che l'essere sia necessariamente in movimento (cioè che «tutto sia in movimento») (249 d). In quarto luogo, esclude che tutte le determinazioni dell'essere possano combinarsi tra loro o che tutte si escludano reciprocamente (252 a-d). Inoltre, come si è visto, l'essere dovrà pure comprendere il non essere come alterità. Su queste basi, l'essere non può definirsi in altro modo che come possibilità (dynamis); e si deve dire che «è qualunque cosa si trovi in possesso di una qualsiasi possibilità o di agire o di subire, da parte di qualche altra cosa, anche insignificante, un'azione anche minima e anche per una sola volta» (247 e). La possibilità, di cui qui parla Platone, non ha niente a che fare con la potenza di Aristotele. La potenza infatti è tale solo nei confronti di un atto che, esso solo, è il senso fondamentale dell'essere. Ma per Platone il senso fondamentale dell'essere è proprio la possibilità. Ed è l'essere così inteso che rende possibile, secondo Platone, la scienza filosofica per eccellenza, la dialettica.